Un Uomo Complesso: storia di Michele Campanella, il partigiano Gino
Amieme oua me cacciu…un dui trei
Michele era così, sale a Struppa al Ponte della Paglia, una piccola Acapulco , si mette in cima al ponte e si lancia, come un angelo irruento. E’ un cavallo indomabile, carismatico, e se vogliamo anche un po’ bullo, perfettamente in linea con gli eroi cinematografici del suo tempo, uomini dallo sguardo languido e l’aria senza compromessi insomma i fascinosi mascalzoni immortalati dal grande Vittorio De Sica.
“Ma prima di lanciarmi, passami un po’ di brillantina vorrei tranquillizzare le belle fanciulle…in acqua si deve entrare pettinati e a voce alta: a
PLAY MARIU
immaginate gli applausi, e l’ammirazione dei suoi coetanei, all’epoca chi viveva in quella lontana periferia, il mare lo vedeva da lontano , col binocolo, come si usa dire, e il Bisagno era il fiume dove si buttavano i ragazzini e gli scavezzacollo gigioni, come Michele.
Michele nasce a Genova il 1° maggio 1922, e per chi crede nel destino, nel fato, questa forse è una data premonitrice. Il giorno della festa dei lavoratori e appena finito il biennio rosso il periodo della storia d’Italia compreso fra il 1919 e il 1920, caratterizzato da lotte operaie e contadine che hanno il loro culmine con 500 mila operai metalmeccanici in tutta Italia che occupano le fabbriche, il punto più alto del processo rivoluzionario. Una folgorante mobilitazione per migliorare le disastrose condizioni di vita soprattutto nelle città del nord come Torino, Milano e naturalmente Genova e forse per cambiare per sempre il mondo.
Cambio luci
“Ragazzi sapete cosa ho sognato stanotte…ero all’ultimo chilometro, al giro d’Italia e mi giro indietro e e avevo staccato tutti Binda e Guerra che annaspano e mangiano la polvere , continuo a pedalare, sempre piu’ forte, le mie gambe vanno a mille, ormai il traguardo è a pochi metri, sento il giubilo della gente che grida Campanella Campanella mi alzo dalla sella, sento l’apoteosi del pubblico, ormai devo solo alzare le braccia al cielo , pedalo senza mani ….invece scendo dalla bicicletta, ne prendo una da città, carico sulla canna una bionda mozzafiato , tuffo il mio naso nei suoi capelli profumati e … maledizione” Michele Michele sveglia,è l’ora di correre a scuola, caspita ma dai , non potevi lasciarmi dormire ancora dieci minuti sono certo l’avrei bac…vabbè lasciamo perdere non puoi capire.
La famiglia di Michele è di origini modeste, la mamma è casalinga e il padre Antonio è operaio e fondatore e socio della Società di Mutuo Soccorso “7 Novembre”. Che si chiama così in onore della rivoluzione d’ottobre secondo il calendario Giuliano in uso in Russia . Con l’avvento del fascio Antonio subisce persecuzioni e viene malmenato più volte perché non ne condivide l’ideologia
Ma i genitori Michele li perde precocemente e sarà la sorella che gli farà da madre , con lei e con i nipoti , più giovani di pochi, anni vivrà il tempo dell’adolescenza. Romeo il nipote più grande salirà su in montagna con lo zio a fare il partigiano .
Quelli erano gli Anni Trenta di Michele in una Genova e in una Italia povera e totalitaria, provinciale e fascista, guerriera a parole e terribilmente piccolo- borghese in tutto il resto.
Nello sport primeggia, si dedica alla lotta e poi al rugby
Amo il Rugby perché è una scuola di vita
Chi gioca a Rugby impara a rispettare i compagni, ma anche gli avversari, e di conseguenza, rispetta se stesso; impara a diventare un uomo, e questo è la cosa più importante della vita
Ho scelto il Rugby perché è uno sport democratico, non ci credete ? entrate in uno spogliatoio e ve ne renderete conto immediatamente: grandi, piccoli, alti, magri, enormi, tutti che si cambiano insieme, tutti hanno la stessa dignità questo vuol dire tutti hanno la stessa opportunita’, vuol dire che c’e’ un ruolo adatto a chiunque, come nella vita
amo il Rugby perché è vero non possono giocare tutti perché chi gioca deve essere coraggioso, deve saper prendere una decisione, deve essere sempre leale, deve aiutare un compagno in difficolta’ a costo di un grande sacrificio, come deve essere nella vita.
Quando ero ufficiale in Polizia mi hanno mandato alle Fiamme Oro Padova, la squadra della Polizia , perché c’era un po’ di maretta , ognuno faceva come voleva: li ho rimessi in riga e alla fine abbiamo vinto anche lo scudetto
Anche a scuola Michele, mostra bravura e carisma e parecchia sicurezza in sé, forse troppa : “sapete cosa vi dico diventerò ricco , mi comprerò la Balilla e avrò 12 paia di pantaloni con la riga da sfoggiare durante la Mille Miglia”.
Ma A vent’anni, nel 1942 , niente mille miglia, niente calzoni a righe , perché viene chiamato alle armi nella Marina Militare :
spedito per mare, viene imbarcato su un Mas il famoso Motoscafo armato . Eravamo dieci uomini di equipaggio e armamento con due siluri e bombe di profondità antisommergibile, oltre a una mitragliatrice o a un cannoncino”. L’otto settembre è a Spalato, non proprio dietro l’angolo, senza direttive né dalle gerarchie militari né dal governo Badoglio né dal monarca e non c’era allora il Freccia rossa, peraltro non c’è neppure ora ma comunque riesce a fuggire e dopo tante peripezie a tornare in Italia e pochi giorni e sceglie la clandestinità andando sui monti , sono in 12 come
“quella sporca dozzina “ entrando a far parte della formazione partigiana “Cichero”, comandata da Bisagno, . In poco tempo diventato il vice comandante : nome di battaglia “Gino”
Bisagno cattolico , Gino Comunista ma partigiani e amici
(cambio luci)
Nell’autunno del ’43 eravamo proprio così…un popolo di vinti , stremati, umiliati, però alcuni , avevano una gran voglia di ribellarsi.
Tre gruppi di Resistenza si formano nell’entroterra genovese sono : uno nella zona di Voltaggio, l’altro sulle pendici del monte Antola e il terzo a Favale, di Malvaro, o più precisamente a Castello, sulla mulattiera che arriva a Barbagelata: sono composti di gente disarmata che campa con quel poco che i contadini del posto portano loro, ma iniziano a farsi sentire dappertutto. Si tratta di azioni individuali che hanno lo scopo di procurarsi delle armi.
“ ho scelto subito la clandestinità , abbiamo formato bande in montagna e poi siamo diventati divisione perché si sono aggiunti tanti altri ragazzi… non è stata proprio una guerra civile, chi lo dice sbaglia, perché la maggioranza non ha partecipato , tuttalpiù han parteggiato, han combattuto soprattutto i giovani
a quel tempo potevi scegliere o andare nella Repubblica Sociale fascista o andare in montagna nella resistenza, io non ci ho pensato un attimo…montagna a combattere la dittatura fascista.
D’altronde cosa dovevo fare , dopo aver visto la Grecia, L’Africa , Russia non potevo stare con le mani in mano contro questa maledetta dittatura. Abbiamo sfidato il freddo e la fame mangiavamo quando si poteva un po’ di castagnaccio perché non c’era altro, ci sfamavamo in quella maniera. Lo potevi fare solo se eri giovane. Mi ricordo che camminavamo di notte nei boschi quasi dormendo di in piedi , con un freddo cane.
Mi hanno istruito alla guerriglia i vecchi maestri dell’opposizione al fascismo, ci esercitavamo al tiro, al servizio di guardia, di vedetta e di pattuglia…poi le prime operazioni di recupero di armi, munizioni e materiale bellico “.
La divisione dove opera Michele è la brigata Severino che porta il nome di un ragazzo siciliano di Licata, fucilato a Borzonasca (Genova) il 21 maggio 1944.
“Severino dopo l’8 settembre del 43 era a Lavagna in ospedale ricoverato per una ferita,
l’esercito si scioglie e lui nel caos dilagante, senza ordini precisi poteva attraversare le linee, e tornare a casa , al sud dove c’erano gli alleati e finire la guerra, allora si poteva ancora , invece sceglie di andare su in montagna
Severino era capitato a Favale con due compaesani : il Beppe che , catturato subito dai tedeschi era finito in un “lager” in Germania, e il Rizza, che dopo poco si ritirò dalla lotta partigiana. Li avevano indirizzati lassù il Comitato di Chiavari perché si diceva che si stava costituendo addirittura un esercito per liberare l’Italia dai fascisti. Poveri ragazzi erano vestiti alla belle meglio con degli scarpini da città tutti scalcagnati e slabbrati”
Severino quando c’erano i rastrellamenti dei tedeschi aveva un compito specifico , doveva prendere Enrichetta , la figlia del comandante Marzio sulle spalle e trascinarla da una cascina all’altra portandola nei rifugi più sicuri, e per farlo la caricava in spalla e le diceva che era un gioco nascondersi nei boschi
Severino viene catturato una prima volta dai tedeschi durante un rastrellamento, riesce a fuggire e a tornare alla sua formazione. Il 21 maggio del ’44 “Severino” cade di nuovo nelle mani dei nazisti, che lo catturano sui monti della Rondanara, sopra Chiavari. Torturato e invano interrogato perché desse ai tedeschi informazioni sulla Resistenza ligure, viene caricato su un camion e portato sulla piazza principale di Borzonasca. Qui i nazisti lo fucilarono di fronte alla chiesa del paese. Il corpo senza vita del primo caduto della “Cichero”, rimane tre giorni sulla piazza a scopo intimidatorio. In sua memoria, i partigiani liguri crearono la «Volante Severino», che in collaborazione con le SAP che combattevano in città porto la battaglia in valbisagno sino alla liberazione di Genova.
In montagna , Michele impara a memoria il severissimo statuto morale che tutti conoscevano e osservavano con scrupolo, ma lui diventerà un vero e proprio paladino, ortodosso dello statuto, e lo sarà tutta la vita anche dopo la fine della guerra. Michele ripete a voce alta, ci crede, ama queste parole, le condivide alla virgola…ne fa la sua ragione di vita…
“massima solidarietà gli uni per gli altri
Decisione , coraggio, azione e autodisciplina, forza d’animo
Responsabilità ecco si responsabilità, ma anche buon senso
autodisciplina, autodisciplina, autodisciplina ma anche critica costruttiva…tutto questo per lottare per una nuova società di cittadini liberi, la nuova Italia democratica…avete capito Compagni saremo liberi, avremo uno stato democratico, le generazioni che verranno, potranno vivere nella pace e nel rispetto, mai piu’ violenza mai piu’ discriminazioni!
Con il senno di poi possiamo dire che Gino volesse troppo, volasse troppo alto, ma L’idea sua e di tanti ragazzi come lui è quella di una democrazia aperta, ci credono a tal punto che di sera intorno al fuoco, votano liberamente ogni cosa anche chi fare capo squadra, e ogni azione da compiere insomma una vera e propria società dal basso!
Michele però è ortodosso, non solo a parole.
Anche nelle azioni di guerriglia non scende mai a compromessi: come quella volta che assalgono un distaccamento nazi- fascistia una palazzina di tre piani e fanno tutti prigionieri all’ora di pranzo.
“quando siamo arrivati lì i fascisti stavano mangiando gli gnocchi con il pesto noi avevamo una fame da matti , ho ordinato di non toccare niente, ma uno di noi, il piu’ giovane si è seduto per divorare quel ben di Dio, mi ricordo che gli ho dato uno schiaffo talmente forte che la sua faccia è finita dentro il piatto di pesto. Hai sentito cosa ho detto? portate via tutto e poi si divide in parti uguali con gli altri , quelli che sono là fuori hanno la stessa fame che abbiamo noi!
“Sapete cosa vi dico compagni se uno dei nostri sbaglia, deve essere punito il doppio, noi dobbiamo dare l’esempio sempre! “
Non sappiamo se quel ragazzo abbia mai perdonato Gino per quello schiaffo ma hanno senz’altro capito che con lui non si poteva discutere quando c’era in ballo la morale e soprattutto il famoso statuto. Comunque una cosa è certa, il Comandante è un uomo di poche parole e le mani parecchio pesanti, inoltre ha tre cose alle quali è meglio non avvicinarsi in maniera irriverente: la sua giacca verde alla cacciatora, l’inseparabile “malaga” e una vecchia pistola di piccole dimensioni che qualche volta s’inceppa, ma soprattutto la sua idea politica. Un’idea per la quale è nato ed è disposto a morire per lei, l’antifascismo.
Però anche verso i nemici ha sempre avuto fermezza ma grande umanità e mai violenza gratuita.
Quando si facevano prigionieri non li fucilavamo, li minacciavamo ma poi li lasciavamo andare via sulle loro gambe, senza scarpe ma sulle loro gambe, cosa differente se li riprendevamo in divisa per la seconda o terza volta, allora a quel punto questi fanatici, li mandavamo al commando alleato e li la loro sorte probabilmente veniva segnata , d’altronde la guerra è guerra, non si può andare troppo per il sottile.
All’inizio dell’attività operativa insieme ai compagni facciamo tante azioni di guerriglia, recupero armi, munizioni, esplosivi, si disarmano bande armate fasciste…ma sempre con lo statuto morale in testa.
giovane avevo una passione smisurata per tutto ciò che era dinamitardo , anzi come la definisce lui arte dinamitarda
“nei primi giorni di maggio 44 abbiamo costituito una squadra di sabotatori con a capo Bisagno, eravamo in sette, il nostro compito era fare saltare, malgrado la vigilanza dei tedeschi , tralicci delle linee elettriche, pali di sostegno delle linee telefoniche e telegrafiche. Il nostro metodo era infallibile usavamo saponette di tritolo.”
Sapete cosa vi dico , mi dava una sorta di eccitazione quando collegavo i dispositivi
“cari Compagni un giorno o l’altro ci lascio la pelle con questi giochini, ma in fondo credo che la morte abbia timore di me…non sarebbe una buona idea sfidarmi!” dicevo così, ma ero giovane
Non scherza Gino, adora il tritolo e il plastico, anzi si diverte a scombinare bombe e armi è curioso di vedere come sono fatte. E ne ironizza pure di questa passione pericolosa…
Gli estimatori del Comandante, hanno sempre pensato che la morte al cospetto di Gino se la sarebbe fatta sotto di brutto, ma andiamo oltre In una azione pericolosa, l’attacco al presidio fascista di Ferriere, Gino viene ferito da numerose schegge di bomba a mano , una lo colpisce al collo.
“ mi è stata estratta da Bisagno, prima che fosse troppo tardi, poi è intervenuto l’infermiere della nostra “Banda” e mi ha tolto una pallottola ficcata nelle costole.. Diverse schegge mi sono rimaste in corpo, insomma sono pieno ferro.
Una volta quando ero già colonnello di polizia in un aeroporto mentre andavo ad un convegno nazionale dell’ANPI insieme ad un gruppo di giovani antifascisti, si perché l’ANPI aveva aperto agli antifascisti, se no se restavamo solo i partigiani prima o poi finiva anche l’ANPI, comunque ho mandato in tilt il metal detector, e la poliziotta mi ha fatto rientrare , togliere le chiavi, poi di nuovo toglier la fibbia della cintura e alla fine ho dovuto mostrare le mie generalità altrimenti sarei ancora lì , suonava tutto e la poliziotta stava impazzendo, non capiva cosa potessi avere addosso…Agente non si preoccupi sono solo pieno di piombo, un regalino che mi porto con me dai tempi della guerra.
Tra le tante qualità Gino ha anche un coraggio da leone e un sangue freddo incredibile:
Infuriavano i rastrellamenti delle brigate nere , c’erano gli alpini della Monterosa, fanatici i fascisti, noi eravamo una dozzina io avevo in saccoccia la mia vecchia pistola “ti prego non mi abbandonare piccola qui ci lasciamo le piume se non mi aiuti”, scorgiamo a qualche passo da noi una pattuglia armata di mitraglie e fucile, non abbiamo neppure il tempo di dire “Oh madonna !!”che già le mitraglie sono puntate verso di noi. Non mi sono smarrito sono rimasto freddo, ho puntato la pistola e ho sparato al primo alpino a vista, l’ho beccato quanto basta per farlo scappare a gambe, ho finto che fossimo in tanti: “Forza ragazzi , fuoco a volontà, non ne deve rimanere uno vivo!!” le pallottole fischiavano sopra le nostre teste, vicino ai nostri piedi…ma gli alpini si erano ritirati indietro e noi potevamo respirare…
“il cibo era uno dei problemi più grossi e i pranzi erano sempre poveri, ma non quella volta a Deiva Marina dove erano per un incarico molto pericoloso. C’è un alberghetto a due piani: al primo piano mangiano i tedeschi con alcuni fascisti armati sino ai denti, Gino non si scoraggia anzi è particolarmente sfrontato…
“Ragazzi io, ho una certa fame, non ci faremo intimorire da quattro mangia crauti e i loro servetti, forza saltiamo sulla terrazza e poi scendiamo al secondo piano a mi raccomando beviamo con moderazione e cerchiamo di essere galanti con la proprietaria dell’Albergo è donna a modo”
Ancora una volta i suoi ragazzi erano increduli da tanto eroismo un po’ insensato e si erano goduti pure il reverente baciamano di Gino alla povera tremante proprietaria dell’Albergo, terrorizzata da quello che sarebbe potuto succedere se i tedeschi al primo piano avessero scoperto i commensali del secondo piano.
Questo atteggiamento sfrontato galvanizzava il gruppo, i ragazzi vogliono bene a Gino sono disposti a gettarsi nel fuoco per lui e sanno con certezza che insieme a lui si porta sempre a casa la pelle.
Anche il giorno della liberazione di Genova, c’è parecchio da raccontare…
“Noi della volante “Severino” siamo in città, siamo scesi dai monti, abbiamo raggiunto le strade carrozzabili , poi abbiamo ripreso la marcia: Montoggio, Tre Fontane, Creto, ci avviciniamo finalmente alla città. A Molassana , in alcune case i tedeschi non vogliono arrendersi, sparano a raffica, non ne vogliono sapere di mollare le armi
Ma i partigiani non sono più quasi disarmati e iniziano a sparare con il fuoco di una dozzina di “Bazooca” e poi arrivano le sventaglate
delle mitragliatrice Bren e le note delle canne corte dei mitra sten
senza dimenticare i cannoni che abbiamo catturato ai nemici, insomma dopo tre ore di battaglia , i tedeschi capiscono che non c’è nulla da fare e si arrendono”
Si alzano nel cielo i razzi bianchi segnali di resa! S’impone una tregua al fuoco.
I tedeschi chiedono l’onore delle armi, e ce lo abbiamo concesso, così sono passati fra due fila di partigiani e gli abbiamo fatto il” salutat arm”, …. …”Credo che anche questa volta Madame la Morte se la sia svignata al nostro cospetto ”.
La mattina del 26 Aprile Radio Genova annuncia:
“Popolo genovese esulta. L’insurrezione, la tua insurrezione, ha vinto. Per la prima volta nel corso di questa guerra, un corpo d’esercito agguerrito e ancora bene armato si è arreso dinanzi a un popolo. Genova è libera. Viva il popolo genovese, viva l’Italia”.
La sfrontatezza, il coraggio estremo saranno due caratteristiche che Gino si porterà sempre dietro anche dopo la guerra quando decide di entrare in Polizia.
Si porta dietro anche le parole di tanti eroi della resistenza…
Abbiamo vissuto un’ infanzia difficile forse qualche rimpianto ci rimarrà sempre nel cuore, ma di una cosa siamo felici, di aver abbracciato gli ideali, le speranze, i sogni di tante generazioni che hanno attraversato il novecento. Io ho conosciuto l’ideale comunista e non ho mai odiato nessuno, neppure i fascisti, per loro ho provato ripugnanza, disprezzo ma non odio. Certo , questa Italia non è quella onesta e pulita che avevamo sognato in montagna, l’Italia per cui abbiamo combattuto e sono morti tanti compagni.
Abbiamo conquistato la Libertà, è vero: ma non è quella per cui tanti si sono sacrificati sino al martirio, senza contare che c’è ancora troppa gente che usa la libertà per comportarsi come nel passato e forse peggio, con violenza, razzismo, barbarie. l’Italia è, in gran parte, ancora da fare, ma voglio credere che ci penseranno i giovani ad arrivare dove noi non siamo stati capaci di farlo
E’ con questi ideali che Gino vuole fortissimamente entrare in Polizia subito dopo la liberazione…
Passando direttamente dalla polizia partigiana alla P.S. quando la prima viene sciolta
Alla fine della guerra la Polizia e i Carabinieri non esistevano più e molti della Pubblica Sicurezza erano stati nelle formazioni partigiane
Dopo la liberazione c’era la necessità di formare una Polizia e sotto la spinta della direzione del PCI molti hanno iniziato a farlo.
Gino ricorda anche che molti compagni entrati in polizia e subito usciti perché odiavano lo spirito militaresco e poi c’era un settarismo tremendo
Mi ricordo Remo Sgubbi nome di battaglia “Nebbia” appena entrato in polizia venne a sapere che avevano fatto un monumento al poliziotto della PAI il Corpo di Polizia Coloniale in Africa , prese il suo fucile, lo buttò nella piazza come un ferro vecchio , si cambiò gli abiti e col primo treno tornò a Genova e si mise a fare il capo officina…”Io non ci sto insieme ai fasci, a quelli che fanno un monumento a dei sanguinari…erano tempi di un settarismo feroce, o da una parte o dall’altra…
brava gente, insomma
nel frattempo In polizia rientrano in tanti anche quelli compromessi con il Regime fascista, lo fanno con la scusa di combattere il comunismo, c’è l’inizio di quella che verrà chiamata guerra fredda, in realtà è un pretesto per riavere indietro il potere che avevano durante il ventennio e ora lo rivogliono. L’organizzazione della Polizia è comunque quella fascista composta prevalentemente dalla PAI il Corpo di Polizia Coloniale, quelli della Milizia Volontaria di sicurezza Nazionale e poi le ultime formazioni della Repubblica di Salò, insomma la nuova Polizia si dota di soggetti per così dire molto affidabili.
Hanno fatto di peggio sono andati a cercare con il lanternino quelli che erano figli e nipoti dei fascisti, quando si rendevano conto di come la pensavano , li arruolavano senza problemi.
Gino non si è mai demoralizzato, la sua idea di Polizia è un’altra, l’ha sempre pensata così, dal 1945 a tutt’oggi, non è mai cambiato neppure da Colonnello, non è mai cambiato in tutte le sedi dove ho prestato servizio: Genova, Roma, Napoli, Aversa, Carini, Alcamo; Siena , Perugia, Sardegna, Firenze, Bologna, Trieste, non è mai cambiato in tutti i delicatissimi servizi…
Come se avesse sempre in testa lo statuto
Per esempio dopo la guerra viene mandato a combattere IL banditismo siciliano durante e nella fase finale quella che porta alla morte del bandito Giuliano, è un protagonista anzi lui è comandante di reggimento il giorno in cui Giuliano viene ucciso
La storia di Salvatore Giuliano parte sul finire 1943 sino al 45, la banda prende forma ma la loro storia è solo criminale . Poi arriva una parentesi separatista, quella che vede Giuliano capeggiare una sorta di esercito indipendentista , la tira avanti poco più di un anno, fino al giugno del 1946 in cui si vagheggia di Una Sicilia indipendente o addirittura come nuovo stato degli USA. Tra questa data e l’aprile del 1947, Salvatore Giuliano torna alla sua occupazione preferita, quella del bandito. E infine, tra la strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947) e la sua uccisione (5 luglio 1950), Giuliano diventa un burattino nelle mani delle forze politiche: monarchici e democristiani in particolare, con la piena copertura di polizia e carabinieri. Una sorta di braccio armato dello Stato repubblicano.
Gino ricorderà spesso la terribile strage di Portella della Ginestra, primo maggio 1947
Quella mattina i contadini di Piana degli Albanesi, San Giuseppe Jato e San Cipirello erano lì, con le loro famiglie, per passare una giornata in allegria, per ricordare la festa del lavoro. All’ improvviso colpi di armi da fuoco vengono sparati ad altezza d’uomo. In poche ore, la tragedia di Portella fa il giro d’Italia. E l’Italia intera è basita. Uccisi a sangue freddo, assassinati uomini, donne e bambini. Sott’ accusa finiscono gli agrari, la mafia e la banda Giuliano, che, con la copertura politica di “pezzi” dello Stato e della politica, non hanno esitato a sparare sulla folla inerme, pur di bloccare le lotte contadine e l’avanzata della sinistra.
A minimizzare l’accaduto, nella seduta del 9 maggio 1947 dell’Assemblea Costituente, pensò il ministro degli interni, Mario Scelba:
“Non c’é movente politico. Trattasi di un episodio fortunatamente circoscritto, maturato in una zona fortunatamente ristretta le cui condizioni sono assolutamente singolari”.
Gino non molla vuole ancora credere nella Polizia, nell’ideale della sua Polizia…lo spediscono in Sardegna a combattere il Brigantaggio Sardo. Che nasce e si sviluppa soprattutto nel Nuorese, maggiormente nel territorio di Orgosolo.
Anche in terra sarda è protagonista di numerosi conflitti a fuoco con bande armate e molti banditi vengono uccisi in conflitto, lui organizzerà le truppe motorizzate della Polizia…
Gino sa che i banditi sbagliano ma che c’è un retroterra che ha delle ragioni.
Il bandito per tante persone è amato, difeso, nascosto perché diventa quello che combatte i soprusi dai potenti, uccide i potenti e poi si da alla latitanza. La popolazione il più della volte concede aiuto al bandito rispettando quelli che sono i canoni del ” CODICE BARBARICINO
- L’offesa deve essere vendicata. Non è uomo d’onore chi si sottrae al dovere della vendetta
- La legge della vendetta obbliga tutti coloro che ad un qualsivoglia titolo vivono ed operano nell’ambito della comunità.
- L’offesa si estingue:
- a) quando il reo lealmente ammette la propria responsabilità assumendo su di se l’onere del risarcimento richiesto dall’offeso o stabilito con lodo arbitrale;
- b) quando il colpevole ha agito in stato di necessità ovvero per errore o caso fortuito ovvero perché costretto da altri mediante violenza cui non poteva sottrarsi. In questo ultimo caso risponde dell’offesa l’autore della violenza.
Dall’esperienza sarda all’Irredentismo sud tirolese, il passo è breve. Studia il movimento per l’autodeterminazione dell’Alto Adige, che vuole la secessione dall’Italia e l’annessione all’Austria al fine di ottenere, sotto la sovranità di quest’ultima, l’unificazione politica del Tirolo, regione storicamente facente parte dei domini asburgici.
Gino indaga su numerosi ex terroristi, condannati dalla magistratura italiana, ma che non hanno mai scontato la propria pena, essendo fuggiti in Germania e Austria.
Dopo il sud Tirolo viene mandato nel Polesine l’area del Veneto compresa tra i corsi inferiori dell’Adige e del Po, e che comprende l’intera provincia di Rovigo e la zona del cavarzerano in provincia di Venezia.
Siamo nel 1966, già cera stata quella più rovinosa del 14 novembre 1951 quando l’argine cede, dando inizio alla più estesa alluvione del XX secolo in Italia.
Alla fine perderanno la vita 84 persone, molti annegati, altri per sfinimento e per il freddo. Nel 66 saranno solo 36
Ricorda quella testimonianza…
Sono tanti i luoghi in cui Gino viene mandato a compiere il suo dovere in giro per l’Italia prima di ritirarsi a Monzuno sull’appennino Bolognese dove era andato a vivere dopo la pensione,
Gino muore il 2 giugno del 2012 a 90 anni non prima di essere riuscito a partecipare al raduno nazionale dell’ANPI a Torino…
Prego Madame si accomodi…prenda fiato e si versi da bere, è tanto tempo che ci rincorriamo vero?, faccia quel che deve fare ma lo faccia velocemente e poi per gentilezza prima di uscire lasci la porta aperta, voglio godermi ancora un po’ questo cielo terso, mi ricorda tanto quel giorno quando ci siamo conosciuti vero Madame… era Agosto, ero un ragazzino e sono voluto salire su Ponte della Paglia, vedo che si ricorda… anche oggi come allora mi permetta di mettermi un po’ di brillantina ,come in acqua anche prima di… si deve entrare pettinati…Addio Madame
SOLUZIONE 1) oua me cacciu per l’ultima votta un dui trei (si spengono le luci)
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