In questi giorni si è celebrata la giornata della memoria. Una data, quella del 27 gennaio, scelta per ricordare la Shoah, ovvero, lo sterminio organizzato di milioni di Ebrei da parte del regime nazista.
In questi giorni il Teatro dell’Ortica, ed io in prima persona, abbiamo presentato due spettacoli, il primo ad Imperia, andato in scena allo Spazio Vuoto e dedicato al presidente della repubblica e padre della Costituente Pertini dal titolo “Cognome e nome Pertini Sandro”, e il secondo al Teatro dell’Ortica dedicato alla prima grande strage neofascista del dopoguerra dal titolo “1969 piazza Fontana”. Due spettacoli scritti e interpretati insieme all’amico Antonio Carletti, che non sono propriamente dedicati allo sterminio degli Ebrei.
Allora perché realizzarli e proporli a partire da questa giornata?
È un tema fortemente dibattuto in un periodo come quello attuale, in cui fioccano i paragoni con lo sterminio dei campi nazisti, vedi le morti in mare dei profughi provenienti sui barconi dall’Africa o ironia della sorte, dalla repressione continua che non è ancora olocausto, ma rischia di diventarlo da parte dello stato di Israele contro i palestinesi nei territori occupati.
Personalmente trovo spesso gli accostamenti e le analogie forzate, ma credo anche che quando si parla di memoria non ci si debba limitare a “glorificare un evento e una data”, ma si debba trarre spunto per analizzare il presente e pensare il futuro.
Ecco perché qualunque iniziativa che affronti “temi scomodi”, dimenticati, o peggio rimossi dalla coscienza collettiva, come sono state le stragi nazifasciste, l’inquinamento delle prove da parte dei servizi segreti, le connivenze di alti gradi della politica italiana, giusto per citarne alcuni, acquista un suo senso.
Pensate che i giovani conoscano Pertini? La sua militanza socialista, il suo antifascismo, la sua coerenza morale; immaginate che conoscano gli eventi tragici che dal ’68 al ’74 insanguinarono l’Italia con attentati nazifascisti a piazze gremite, a treni, a Banche, dove si colpiva nel mucchio uccidendo per creare paura e tensione?
No, non lo sanno, perché nessuno glielo ha detto, perché i loro genitori, non sanno o se sanno preferiscono non dire, perché a scuola non si insegna la storia contemporanea, perché come dicono certi politici: “a scuola si studia e non si fa politica”, che vuol dire seguire la politica che decidono loro.
Ora per esempio giocando a fare analogie: quali differenze troviamo nelle modalità politiche e militari fra gli esecutori delle stragi di Piazza Fontana a Milano nel 1969 o di Piazza della Loggia a Brescia nel 1974 e dell’italicus alla Stazione di Bologna nel 1980, per citare ancora i più noti e più efferati e devastanti, con le stragi ai mercati e nelle piazze eseguite da organizzazioni estremiste Come Al Quaida e similari?
Le modalità sono le stesse e presuppongono il completo e assoluto disinteresse per le vite umane, la scelta di uccidere a prescindere, per seminare il panico e il terrore nella popolazione, paralizzandone l’azione politica.
Ora affrontiamo il tema delle morti in mare, cercando di andare oltre l’aspetto etico, che peraltro nessuno dovrebbe mai dimenticare, neppure chi governa, anzi meno che meno chi governa. Si tratta di un genocidio? Forse per il momento il termine è troppo forte e anche troppo generico. Resta il fatto che ogni giorno muoiono dei migranti perché in barba al Diritto internazionale, agli obblighi di salvataggio in mare, si decide di chiudere i porti, iniziando una querelle infinita fra chi deve accoglierli, in un gioco al massacro il cui titolo potrebbero essere: “Oua tucca a ti, niatri aemmu za daetu”, detto in genovese.
In realtà, in questa battaglia sulla pelle di innocenti, non ci sono santi ed eroi, ma solo colpevoli, solo tanti Ponzio Pilato che si voltano dall’altra parte nella migliore delle ipotesi, al massimo dicono “non è colpa nostra”, ma qualcuno di loro prima ha governato, o nella peggiore trovano nei migranti la causa della crescente povertà del paese Italia, dell’aumento, forse solo percepito ma non reale della delinquenza, finendo per assumere nelle frasi, nelle pose e nella semplificazione del linguaggio un modello che riesce difficile non avvicinare a Mussolini o anche peggio a Hitler.
Italia chiama Europa nessuno risponde.
Europa chiama Italia nessuno risponde.
L’Europa occidentale si vanta dei valori di giustizia, fratellanza, uguaglianza e libertà, prodotti dalla Rivoluzione Francese. Certo non si riesce a vedere dove stia la solidarietà, il senso di fratellanza per questi sfortunati che arrivano dall’Africa scampati ai campi di sterminio libici avallati e finanziati anche dall’Italia, prima con Berlusconi poi con Minniti.
Non si riesce a vedere dove stia l’uguaglianza di trattamento se gli s’impedisce di circolare come un qualsiasi cittadino del mondo.
Le merci circolano e gli uomini?
Certo dietro gli sbarchi ci sono comportamenti criminali, ci sono gli scafisti, ci sono delinquenti di tutte le risme, ma perché un giovane proveniente dalla Somalia o dal Mali, ad esempio, non prendono un aereo e vengono in Italia, Francia, Germania o qualunque altro paese dell’Unione europea? La risposta è semplice: perché non gli è concesso, non saremmo disponibili come paesi civili e liberi della libera Europa ad a accoglierli.
Siamo noi occidentali che creiamo le condizioni prime per queste tragedie, e questa è una storia lunga che parte dagli interessi del neocolonialismo, non solo Francese, in Africa, dalla rapina continuata che l’Europa, Italia compresa, e la Cina stanno perpetrando in tutto il continente.
Ritorniamo per un attimo alla memoria intesa come ricordo che tenda all’oggettività, per andare oltre gli aspetti di passione spesso ideologica che a volte sono fuorvianti, oltre le reazioni di “pancia” in cui le emozioni hanno il sopravvento su analisi lucide che non vuol dire aride. Credo, per finire, si debba ricominciare a fare memoria, sviscerando, analizzando, ripensando i fatti importanti di ieri e di oggi, per superare la superficialità, il semplicismo, l’approssimazione che sembrano essere il mantra in cui tutti siamo avvolti.
Mirco Bonomi
The Mule e’ un pezzoincredibile dei Deep Purple, un lunghissimo assolo di batteria che non ti spinge fuori dai percorsi di memoria ma te li frulla addosso, li riannoda e quando la testina del tuo giradischi indugia sulle tracce vuote ecco che ti vengono in mente mille cose. Non necessariamente occasioni perdute ma possibilità di incidere, di contare non per se ma per tutti, di baciare sul collo una ragazza come in a Mignon è partita, superbo film della Archibugi, bellissimo… La memoria. Ricordo che in una sera di discussioni concitate tra me, ragazzetto, e mio nonno che, pur ultra settantenne, mi stava crescendo come poteva …mi rivolsi a lui dicendo che non aveva niente da insegnare avendo permesso un genocidio e lui, che aveva sempre rifiutato la “cimice” di regime si calmò e abbassando un po’ gli occhi mi disse: “ non lo immaginavamo, non immaginavamo le persone ad alimentare il fumo dei forni”. La discussione terminò li, mi sentii anche un po’ in colpa perché già allora sapevo e vedevo gli orrori dell’uomo, allora come ora e … cosa faccio? Cosa facciamo? Bonomi sei scorretto …mi hai catturato.